La Giornata Mondiale del Titanic

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di Massimo Pizzoglio

Scusate se mi accanisco, ma ieri sarebbe stata la Giornata Mondiale del Rifugiato e invece quasi tutti gli organi di informazione del mondo si sono concentrati sul sottomarino turistico disperso nella ricerca del relitto del Titanic.
Le marine di Stati Uniti e Canada hanno messo s disposizione enormi mezzi per trovare e (provare a) salvare le cinque persone a bordo, che hanno solo più, teoricamente, 24 ore di ossigeno.


Ferma restando tutta l’apprensione e la solidarietà per l’opera di soccorso a persone in pericolo, vorrei solo ricordare che pochissimi giorni fa è affondato un barcone con 750 persone a bordo e non si è vista né la stessa prontezza di intervento, che infatti ha comportato la morte di almeno 600 persone, in maggioranza donne e bambini, né la stessa copertura mediatica.

E tutto questo a 50 miglia dall’isola di Pylos, in Grecia, nel Mediterraneo, e non a 600 miglia da Terranova, nell’Atlantico settentrionale.

Ma ormai la notizia dei migranti affogati non fa scoop, meglio quindi quattro turisti milionari e un capitano da videogioco (il sottomarino si comanda con il joystick della playstation) dispersi mentre cercavano il relitto del Titanic, affondato cent’anni fa carico di turisti milionari (e migranti nelle stive) con un capitano da operetta.

Anche il conto economico non tornerebbe perché i quattro turisti hanno sborsato 250.000 $ a testa per un totale di un milione di dollari mentre i 750 migranti hanno speso mediamente 5.000 $ a testa per un totale di 3.750.000 $, ma, si sa., fa più notizia un vip su un’isola deserta (con le telecamere) che mille poveracci che cercano di non morire dove stanno, rischiando di morire dove andranno.
Ma ne abbiamo già parlato tante volte (anche qui)…

Infine, augurandoci ovviamente una lieta conclusione della ricerca del sommergibile, non posso non riportare il giustissimo e sicilianissimo commento di Licia:
“…comunque, nel dubbio, evita come la peste i luoghi che portano sfiga!”.

Una risacca li seppellirà.

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di Massimo Pizzoglio

A cinque giorni dal naufragio del peschereccio al largo della Grecia un’unica certezza si fa strada tra le scarse e contraddittorie notizie che arrivano: centinaia e centinaia di nuovi cadaveri vanno a raggiungere chi li ha preceduti in quel gigantesco cimitero che è ormai il Mediterraneo.


Più di ventimila solo negli ultimi anni, secondo più fonti, sono i morti nel tentativo di raggiungere il “civile” occidente dai paesi più martoriati del mondo, un po’ come se tutti gli abitanti di Agropoli o di Cesano Boscone giacessero sul fondo.

Se fossero stati sacchi di ghiaia avrebbero ormai quasi costruito un ponte per arrivarci a piedi in questo “civile” occidente che non li vuole, ma invece erano carne e sangue e dolore per chi rimane, per chi li attendeva, per chi sperava.
Indifferenza o peloso cordoglio, invece, per chi sta con i piedi solidamente piantati su “questa” costa del “Mare tra le terre”.

Scriveva qualche giorno fa Alessandro Capriccioli che per arrivare a leggere su la repubblica o il corriere (ormai inesorabilmente minuscoli) qualche notizia sul naufragio bisognava scavalcare o dribblare decine e decine di altre notizie di variabile importanza, ma indiscutibilmente a margine del più grande massacro (conosciuto) di migranti nel “Mare nostrum”.

Probabilmente seicento persone, in prevalenza donne e bambini, chiusi nella stiva di un barcone, che forse poteva portarne trenta, affondato nel disinteresse (o forse peggio) della cosiddetta Guardia Costiera greca, in un copione che abbiamo visto altre volte e ancora recentemente a Cutro.
Seicento bare che non avranno funerali di stato, corpi che forse una pietosa risacca restituirà in piccola parte sulle spiagge dei turisti della parte fortunata del mondo.
Ci saranno piccole cerimonie di cordoglio, forse, piccole manifestazioni di condanna, spesso di segno totalmente opposto, e poi sepolti nell’oblio, come il villaggio di Theodor Kröger.

Fino alla prossima volta, al prossimo stupore, alla prossima indifferenza.