Piazza Castello – Note a margine

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di
 
Massimo Pizzoglio

Ci sono pezzi che nascono nei modi più diversi, per un momento, per una sensazione, un anniversario…
Ci sono pezzi che nascono senza pensare che arrivino qui, per motivi diversi.

Questo è uno di quelli, nato da una chiacchierata con Arianna Ciccone e Loredana Lipperini sui fatti di Torino dello scorso weekend. Voleva essere una cruda narrazione dei fatti per chi non c’era e non si accontentava della narrazione dei media, mandata privatamente alle amiche. Loredana l’ha pubblicato sul suo blog Lipperatura e ha suscitato parecchie ulteriori discussioni.
Lo ripubblichiamo qui integralmente:

Sabato, piazza Castello,
note a margine.

Non faccio nessuna pre-messa, tanto chi ha pre-giudizi farà le sue considerazioni e chi non ne ha non ha bisogno che ne faccia.

Della manifestazione di sabato 10 novembre 2018 in piazza Castello a Torino, ho visto molte cose, ho sentito molte cose e ho letto molte cose.
Anche molte inesattezze, soprattutto da parte di chi non c’era.
Ed è proprio sollecitato da amici non torinesi che mi chiedevano lumi sulla “piazza
SìTav” che ho deciso di dare la mia piccola testimonianza.

Prima di tutto il fatto di chiamarla tout court “la piazza dei SìTav” è già un errore marchiano: la convocazione della manifestazione, fin dall’inizio, era contro l’amministrazione Appendino, da parte di diversi gruppi, di cui uno, quello delle madamin, era “anche” sitav, ma l’idea era di contestare Palazzo Civico, anche se c’era la coscienza da parte di molti che la partecipazione sarebbe stata variegata e anche contrastante.

L’agglomerazione avviene un po’ da flashmob: sui social, per passaparola (“ma tu vai, sabato?” “ma al mattino o al pomeriggio?” “al pomeriggio, cosa?” e sarebbe stata l’anti-Pillon, n.d.a.) e con dubbi e perplessità.
Su
Facebook l’evento è proposto da almeno tre pagine diverse, tutte riferentisi all’amministrazione comunale e allo sfascio della città.

La stessa pagina di “Sì, Torino va avanti” (quella delle madamin) continua a parlare della manifestazione di sabato con il suo motto e solo giovedì aggiunge nel titolo “SìTav“.

Venerdì mi permetto di opinare, sulla pagina, quell’aggiunta e vengo trattato da troll e invitato a stare a casa. Intanto le madamin, grazie alle buone amicizie (da brave madamin), catalizzano anche l’attenzione mediatica, in buona parte aiutate dal prode Molinari, direttore de La Stampa, che ne fa delle moschettiere della “Torino che reagisce al degrado”, prontamente seguito da tutto il resto della stampa nazionale.

Sabato vado a vedere com’è.

Arrivo puntuale alle 11.00 perchè avevo appuntamento con un’amica, a sua volta perplessa, e trovo la piazza con un bel numero di persone, tendenzialmente curiose, un po’ a capire cosa capitava. Riconosco molti amici di sicura fede sinistra, molti “galleggianti” nel mare di centro e parecchi, come immaginavo, forzisti.
Soprattutto la torbiera dei cosiddetti indecisi, quelli a cui tutti i politici dicono di volersi rivolgere e che ostinatamente se ne catafottono, finché non li si tocca negli affetti, cioé denaro e privilegi.

La frase più sentita (sono un uditore a sbafo) è “pensati che io non andavo alle manifestazioni neanche quando avevo 18 anni!”.
Il resto dei discorsi era da coda alle poste.

Niente bandiere (come richiesto nelle istruzione alla partecipazione), a parte pochissime europee e un certo numero di “Sì Tav“, tutte uguali mentre erano concesse solamente le home made… (il nervosismo di alcuni cresce)

Poi dal palco delle sette “donne con le gonne” (come definite da alcuni), da cui si percepiva con fatica un borbottio confuso, parte una voce stentorea d’uomo, Mino Giachino: da ex-sottosegretario ai trasporti e prima ancora da berlusconiano inossidabile, è un sostenitore della Tav a tutti i costi (probabilmente uno di quelli che consigliarono l’allora premier a intervenire con il pugno di ferro in valle, di fatto facendo diventare i NoTav un fenomeno nazionale invece che una protesta limitata e locale).

Dopo un po’ di convenevoli esce con un elogio di Marchionne che fa applaudire una parte della folla e sussultare i più.
Segue un pamphlet sulla possibilità di raggiungere con le merci piemontesi due, sette e tra poco dieci miliardi di persone (mai letto il rapporto Meadows).

A quel punto decido che mi basta e me ne vado, mandando intanto un messaggio all’amica che era in ritardo.
Lei mi risponde:”Sto arrivando da via Po. Ma è già finito che stanno andando tutti via?”
Ed erano le 11.20…

Ci troviamo dall’altra parte della piazza e ci soffermiamo a vedere come evolve la cosa.

Il pubblico apparentemente più “sinistro” sciama abbastanza rapidamente (intanto si sente sempre e solo la voce di Giachino, che però non ascolto più); invece quelli “col cappottino di casentino” (c’era un dress code in arancio) si avvicinano al palco e i fedelissimi di “per fortuna che Silvio c’è” stringono le bandierine SìTav con orgoglio.

Non per tantissimo, perché a mezzogiorno, dopo poche voci femminili indistinte dagli altoparlanti, tutti via: a prendere l’aperitivo e poi a tavola, con la mamma che molti portavano orgogliosamente come esempio di Torino-che-ha-voglia-di-fare.

Fine, pace e amen.

Considerazioni a caldo

– I numeri conteranno poco, ma indipendentemente dalle dichiarazioni di parte, di gente ce n’era tanta; non credo 30.000, ma già la metà o un terzo sono cifre pesanti.

Va detto che non era una folla compressa: ho girato agevolmente con il cane senza chiedere mai: “permesso?”

– Le foto scattate dall’alto che sono circolate per i media credo siano state scattate però in poco più di un quarto d’ora, venti minuti, perché poi la diaspora è stata intensa e abbastanza veloce.

– La composizione di quella folla è molto più difficilmente definibile: impensabile e semplicemente stupido parlare omogeneamente di borghesia, c’erano tutte le classi sociali con le più varie tendenze politiche.

Età media alta, pochi giovani, qualche famiglia con bambini ad abbassare la media.


Ero lì per capire e ho parlato con parecchie persone che conosco: gran parte esordiva con “passavo a vedere…”, altri con “volevo vedere quanti siamo” senza specificare chi e cosa, altri ancora erano lì con orgoglio (e la mamma).

Molti di quelli con cui ho parlato si aspettavano tutt’altro ed erano contrariati, molti altri erano contenti della massa che finalmente si ribellava, ma nei giorni successivi si son fatti venire dei dubbi o si son dati delle risposte diverse

– Distribuzione di stickers “Sì, Torino va avanti” senza il SìTav, a dimostrazione che è stata un’aggiunta tardiva.
Tutto il discorso dal palco era però sulle meraviglie della Tav.

– Il palco, l’organizzazione, le bandierine, gli stickers, ecc… non son costati poco. A chi?

Un dettaglio molto apprezzato: alla fine la piazza era pulita.

Considerazioni a posteriori

Come detto, le domande più particolari e più inaspettate me le hanno fatte persone non di Torino o addirittura all’estero, che, in sostanza mi chiedevano: “ma come avete fatto, a Torino, ad andare in trentamila a una manifestazione SìTav organizzata da Forza Italia?”

Credo di aver già parzialmente risposto: l’apparente “organizzazione alla buona”, i temi proposti molto diversi da quelli mantenuti, i molteplici gruppi che lo diffondevano, anche conosciuti, un po’ di curiosità generale hanno portato per almeno mezz’ora migliaia di persone a trovarsi lì.

Nessun gruppo politico oggi è in grado di portare questi numeri di torinesi in piazza, solo la Juventus, però poi ci si fa male…

A me ha colpito il fatto che quella piazza sia stata universalmente chiamata “la piazza dei SìTav” e che quasi tutti i media abbiano immediatamente adottato quella definizione, anche se in tanti avevamo visto una realtà, in buona parte, diversa.


Mi sono dato più di una spiegazione, ma in fondo a tutti coloro che ritengono di trarne vantaggio va bene così:

– ai forzisti che pensano di avere almeno trentamila supporters,

– a Giachino che ha rimesso in piedi un ufficio elettorale gratis (pagano le madamin) in vista almeno delle europee e delle regionali, salvo riuscire a far cadere l’Appendino,

– ai SìTav, che quando mai si conteranno in trentamila (e neanche stavolta)

– ai NoTav che si vedono riportare in prima pagina di colpo, gratis, da una banda di dilettanti e che avranno tutte le chances per portarne altrettanti (coi pullman)


– alle madamin dilettanti, che par loro di aver ricreato la marcia dei 40.000, in
twin set di cachemire

– ai giornali, che con queste etichette si risolvono anche i problemi dei titoli e si tolgono il problema dei contenuti


Conclusioni e conseguenze

È mia opinione che davvero la manifestazione fosse partita come spontanea e dal basso, poi grazie al pompaggio-stampa della storia delle madamin (cercato, ottenuto e gradito) si è capito che i numeri ci sarebbero stati ed è partita la gara a metterci su il cappello.

And the winner is…

Giachino e Forza Italia (ho visto in piazza anche Malan) o forse un ensemble più variegato di Liberal (nel peggior senso malagodiano del termine).

Non credo riusciranno a cavare dal buco nessun ragno più grande di quello che ci è entrato.

E questo vale per tutti quelli che pensano di portarsi a casa una fetta di quegli ennemila grazie a questa manifestazione, tipo il PD che ha fatto una figura tra barbina e di guano.

Gli unici che ci guadagnano qualcosa penso saranno i NoTav che, come dicevo, hanno una pubblicità gratuita e positiva per un po’, anche in vista della manifestazione di dicembre.

E, forse, proprio questa giunta Appendino, contro cui ci sarebbero state decine e decine di argomenti su cui massacrarla e che invece, per presunzione politica, si sono ridotti a uno, e così nebuloso da essere perfetto.

E infine

E infine proprio questa perfetta nebulosa che è la Tav (o Tac, che dir si voglia).

Per i non piemontesi è un po’ la Che Guevara di tutte le lotte popolari, una battaglia degli indios della Val Susa contro i poteri forti.

Per chi conosce la Val Susa da sempre, conosce le tante storie di questi decenni che l’hanno travagliata, conosce i valligiani fin da bambino, ne ha vista l’evoluzioni in decenni, per chi segue la vita politica italiana e locale, conosce nomi, ruoli, cronaca giudiziaria e nera, la storia della Tav e dei movimenti pro e contro NON è la storia di Robin Hood e dello sceriffo di Nottingham.

La prende più con le molle, ‘sta Tav, sa che è una treccia di fili diversi: qualcuno forte, qualcuno delicato, qualcuno sporco, qualcuno bruciato… È impossibile prendere solo quelli buoni senza tracce degli altri.

In più, chi come me ha qualche annetto, il pensiero di vederla finita è un po’ una Shangri-La, un’Atlantide di Benoit, senza stare a scomodare le mitologie persiane o egizie o greca. E i numeri, anche questo ce l’ha insegnato nostro malgrado Berlusconi, usati a vanvera servono solo a buttarla in caciara e confondere tutto.

Un’unica certezza: come dicevo oggi, nello scontro tra le madamin e l’Appendino vedo solo lampi di imbecillità. E aver visto qualche intervista televisiva me lo conferma.

Quando la guerra ai dilettanti la fanno degli altri dilettanti, il risultato è la melma.