Criminal chef profiling

di Licia Satirico

Nell’epoca del culinarismo imperante ci imbattiamo sempre più spesso in gare televisive tra i fornelli, con l’obiettivo di realizzare la pietanza più prelibata sotto gli occhi di giudici impietosi.

Il bastard cooking è, a suo modo, uno sport estremo: si preparano vettovaglie con equipaggiamenti medievali, in rifugi di alta montagna raggiungibili solo con cordate su strapiombi a prova di stambecco o in sofisticati golf club dove l’unico cuoco risolutivo dovrebbe essere Lucrezia Borgia.
Nel corso di queste gare senza cuore il cuoco perdente viene fustigato in pubblico.
Si sussurra che nelle prossime stagioni potremmo assistere a eliminazioni in diretta mediante seppuku: col coltello da sushi, ovviamente.

Abbiamo però deciso di andare in controtendenza, proponendovi il profilo degli chef che non vorreste mai incontrare: il cuoco mannaro e quello calamitoso.

17340 CuocoMannaro 2 Ks500 (1)Forse non parteciperanno a trasmissioni televisive, ma potrebbero popolare i vostri incubi.

In verità la cucina mannara è una categoria dello spirito, mentre quella calamitosa è criminale.

L’antro del cuoco mannaro si riconosce subito: l’odore del cibo si spande per un perimetro di una ventina di metri intorno al ristorante, che spesso è l’unico aperto nel raggio di chilometri.
Il cliente entra nel locale, stordito prima dalle percezioni olfattive e poi dalle imprecazioni provenienti dalla cucina.
Vien fatto accomodare tra clienti improbabili, reietti dell’umanità oniricamente sospesi tra i dipinti di Lucien Freud e la Cavalleria rusticana.
A quel punto l’avventato avventore scopre che non esiste un menu: tocca al cuoco servire il piatto del giorno secondo il suo estro personale.

Il cuoco mannaro cucina in condizioni igieniche deprecabili e imbandisce cibo sconvolgente: sirene degne di Curzio Malaparte, polpi vivi, pesce talmente morto che dovresti solo seppellirlo.
Ho visto file ordinate di scarafaggi uscire dalla soglia di cucine mannare, come se fossero incantate da un pifferaio.
È permalosissimo: se ha l’impressione che il cibo non sia stato gradito, prepara un altro piatto da consumare senza indugi sotto i suoi occhi ansiosi e grevi.
Non fatelo mai innervosire: la prossima pietanza del giorno potreste essere voi.


Il cuoco calamitoso si avvicina ai fornelli come Raskol’nikov alla vecchia usuraia, ma non ha certo le motivazioni etiche del protagonista di
Delitto e castigo: suo è il delitto, ma il castigo è vostro.

I criminologi di orientamento marxista distinguono la cucina calamitosa in tre categorie:

     – Cucina calamitosa maggiore (colposa con esposizione a pericolo dell’incolumità pubblica).

È causa di forme gravi di infelicità e ha un ambito di estensione vastissimo, che spazia dal disastro culinario al codice penale, dallo stupro di lenticchie alla rovina di edificio.
In un caso passato alla storia, un calamitoso maggiore pulì i fornelli della cucina con l’alcol e poi accese il fuoco purificatore.
Non pago dell’accaduto accese la cappa, innalzando le fiamme fino al soffitto.

Alla cucina calamitosa maggiore è applicabile la scriminante dello stato di necessità, posto che spesso l’attività culinaria può essere interrotta solo da terzi preoccupati.
I cuochi calamitosi maggiori sono passibili di divieto di soggiorno in cucina, e a volte persino di transito.

    – Cucina calamitosa minore (colposa con esposizione a pericolo dell’incolumità individuale). 

Il cuoco calamitoso minore è un mago del microonde: scongela, scotta, sminuzza cibo rigorosamente precotto.
Per il principio di Lavoisier, le pietanze del cuoco calamitoso minore sono soggette a metamorfosi: a volte lo scongelamento è parziale e ti tocca succhiare la cena come se fosse un ghiacciolo, in altri casi hai la sensazione di avere sotto i denti la mummia del Similaun.
Il cuoco calamitoso minore è esperto nell’arte del mimetismo: pur di non cucinare tende a vivere in simbiosi con cuochi abili.
Per questo motivo non è, di solito, pericoloso socialmente.

    – Cucina calamitosa dolosa: unisce le perversioni culturali della cucina mannara all’indole malvagia del cuoco.

Il cuoco calamitoso doloso fa un uso criminoso del cibo: prepara il cibo per i cani e te lo serve come manicaretto, salvo poi dirti che era cibo per cani particolarmente buono.
Essendo capace di tutto, va interdetto in via perpetua da ogni luogo in cui può maneggiare materiale commestibile.

Ogni volta che incontro un cuoco calamitoso penso a Joyce:
Dio fece il cibo, ma il diavolo fece i cuochi…

(Illustrazione del mitico Roberto Mangosi, espressamente per Torte Scorrevoli.)

5 pensieri su “Criminal chef profiling

  1. Condivido appieno. Molto veritiera la frase “Dio ha creato il cibo, il diavolo i cuochi”.
    C’è da dire che la cucina tradizionale e tutti suoi piatti non corrispondono sempre alle leggi dell’intestino e le sue esigenze. Mischiando ingredienti a casaccio solo perché il risultato divenga di buon sapore e si crei una nuova ricetta o solo semplicemente si riproponga una tradizionale che comunque sia composta da ingredienti discordanti o non confacenti a gli enzimi della digestione, ciò crea disagio, a lungo andare, al nostro organismo.
    Nella cucina tradizionale, seppur buona e ben fatta, non mangiamo e soprattutto, non ci nutriamo nel modo giusto come dovremmo.

    • Maria Giovanna, se la “cucina tradizionale”, qualunque cosa tu intenda con ciò, fosse così nefasta, l’umanità si sarebbe estinta da secoli, oppure piccole comunità che hanno compreso quale sia “il modo giusto” avrebbero preso il sopravvento…
      E poi, “cucina tradizionale” di dove?
      Discordo comunque dall’idea che gli ingredienti siano “mischiati a casaccio” o che “il risultato divenga di buon sapore” sia marginale nell’alimentazione.
      Nessun essere vivente si nutre in funzione delle leggi e delle esigenze del proprio intestino, ma secondo la disponibilità ed appetibilità del cibo reperibile, ed è sempre l’intestino, come ci insegnano le leggi dell’evoluzione, ad adeguarsi.
      La conoscenza degli enzimi della digestione ha pochi decenni di vita, mentre il genere umano ne ha un milioncino…
      (si scherza, eh?…)

      Viva la cucina, tradizionale e non, “buona e ben fatta” e se, ma non obbligatoriamente, l’intestino si affatica, la mente ne gioisce e l’umore ci guadagna.
      E di questi tempi non è poco, no?

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