Zia Arenula e le donne

di Licia Satirico

Domenica Repubblica titolava trionfalmente:
“Ecco il governo Letta, giovani e donne”.

Al di là della discutibile espressione “governo Letta”, il noto quotidiano fondato da Eugenio Scalfari suggeriva al lettore l’idea di un rinnovamento radicale nella composizione dell’esecutivo, popolato stavolta da minoranze etniche.

Minoranza sono i giovani in un Paese che ai giovani non offre più niente.
Minoranza netta (anzi: minoranza Letta), restano le donne: sette su ventuno ministri, appena un terzo del totale.

images-1Se questo è il concetto italico di quota rosa, ci ribelliamo di cuore: a parte il fatto che l’idea stessa di quota rosa pare assorbita dalla cubatura della nuova Guardasigilli, siamo ancora lontani anni luce dagli standard dei paesi scandinavi e dalla rimozione di pregiudizi non del tutto inconsapevoli sulla possibilità che le donne non arredino posti di comando, ma li occupino con competenza, efficienza e onestà.

Prova di questa formidabile resistenza culturale è fornita, del resto, dall’inedito accorpamento tra i ministeri delle pari opportunità, dello sport e delle politiche giovanili.
Non intendiamo certo sminuire i meriti olimpici della signora Idem né insinuare che la parità tra i sessi non possa essere predicata da una donna potente e tenace.
Il fatto, per alcuni aspetti assai più grave, è un altro: l’associazione di idee evoca, nel bene e nel male, il concetto di uguaglianza come corsa a ostacoli e, soprattutto, come questione giovanile.
È un po’ come liquidare la parità tra i sessi in un limbo sospeso tra le competizioni e i brufoli, rafforzando la desolante sensazione di inutilità di un dicastero assai sfortunato.

Attraversiamo tempi bui, come i fatti di queste ore – a prescindere dalle ricostruzioni maliziose e dai tentativi di strumentalizzazione – dimostrano.

Questo non può, però, farci dimenticare l’insopportabile retorica delle impari opportunità in un Paese che è ancora legato a una visione ancillare della donna e dove insopportabilmente alto è il numero di donne uccise.

Le nostre strane quote rosa sono il riflesso di politiche del lavoro che penalizzano la donna e precarizzano la sua vita in ogni aspetto.
Sono il riflesso di un welfare che ha distrutto l’assistenza alla maternità, condannando la maggior parte di noi – ora come un tempo non troppo lontano – a scegliere tra lavoro e famiglia.

Del resto, l’ex ministro Fornero – una delle peggiori della storia della Repubblica, con buona pace delle pari opportunità – non amava essere chiamata al femminile, come se la declinazione del genere fosse una pericolosa deminutio.

E così restiamo a guardare perplesse lo Spielraum raggelante che separa la Lorenzin dalla Cancellieri: la prima, che non ha una laurea in medicina, ha già sproloquiato sul caso Ilva e sulla legge 40, mentre la seconda ha promesso “dialogo” ai giudici.
Come se ci si potesse insediare nel ministero della Giustizia annunciando guerra al terzo potere dello Stato, secondo il copione del conflitto istituzionale biscionico a noi ampiamente noto.

In verità la Cancellieri, coi suoi giunonici tailleur scuri e il vocione baritonale, non pare proprio una quota rosa.
La sua livrea austera la rende autorevole come una vecchia zia: poli-zia all’epoca del ministero degli interni, zia Arenula adesso.

Prepariamoci con ansia alla nuova era, sospesa tra quote rosa e vessilli neri.

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