I paccalaureati

di Licia Satirico

L’ossessione compulsiva da titolo di studio ammorba sempre più spesso i politici italiani, assumendo modulazioni diverse a seconda che sfoci in un diploma creativo oppure irregolare: una bufalaurea in entrambi i casi, con rilevanti differenze antropologiche.

Nella prima categoria confluiscono – come un reflusso gastroesofageo – i casi di Maurizio Crosetto e di Oscar Giannino, che hanno abbellito il curriculum di lauree ornamentali e master a Chicago. Qui la laurea è nella mente di chi la crea, come l’amico immaginario della prima infanzia: una bugia patetica senza conseguenze legali, tranne un’ombra inconfondibile di millantato credito.

La seconda, invece, è una tipologia di casi assai più ampia e non sempre innocua: la laurea c’è, ma sarebbe meglio se fosse immaginaria.
Si spazia dalla magica laurea albanese in business administration di Renzo Bossi, rilasciata da un ateneo-Legoland di Tirana che si chiama come un cocktail, alla laurea svizzera (farlocca ma puntualissima) di Rosi Mauro, conseguita forse nel tunnel tra Ginevra e il Gran Sasso.

9107061-bandiera-sfondo-con-il-cappello-di-laurea-sui-libriAlle lauree abnormi si aggiunge ora quella della grillina Marta Grande, che avrebbe equiparato di sua iniziativa un Bachelor of Arts conseguito in Alabama a una laurea triennale italica.
In tal modo la giovanissima parlamentare è riuscita nel duplice intento di confermare l’inutilità sincronica dei diplomi stranieri non riconosciuti nel nostro Paese e di quelli triennali conseguiti in Italia, seguendo il trend politico del momento: esibire il pezzo di carta putativo per rafforzare la propria immagine pubblica.

I fatti rivelano, in realtà, quale sia la considerazione etico-sociale del valore di studio e ricerca in Italia: gli atenei italiani sono ridotti alla fame, al conferimento delle lauree dishonoris causa, alle convenzioni prostitutive con enti improbabili purché solventi.

I laureati, quelli veri, lottano ferocemente per trovare un lavoro, restando sottopagati, sfruttati, frustrati in un sottobosco esistenziale che spesso diventa un incubo.
In casi estremi si vergognano di esibire una laurea che non dà più garanzie di futuro: perché il futuro, nel nostro Paese, è stato smantellato e svenduto anche grazie a un processo implacabile di impoverimento della scuola e della cultura.
Sorge così il paradosso odierno: la laurea vera è retaggio imbarazzante e superfluo, mentre quella inventata consente di avviarsi a costo zero verso prestigiose carriere istituzionali.

Bisognerebbe istituire corsi mirati al conseguimento di speciali Bachelor for Supercazzolar Arts per formare le nuove classi dirigenti.
Si potrebbe, che so, decidere di subordinare il conseguimento del titolo al superamento di una prova INVALSI a indirizzo economico-follicolare; oppure istituire una specifica scuola di alta formazione paracoolturale, con lezioni magistrali di cerchiobottismo orchitico tenute da alte cariche dello Stato, sessioni di fenomenologia del silenzio e altre –fantasy – di storia delle istituzioni e della Costituzione.

No joke: speriamo con cuore partigiano che almeno la Costituzione voluta, tra gli altri, dalla straordinaria Teresa Mattei da poco scomparsa, non sia per parlamentari vecchi e nuovi, laureati, baccalaureati o paralaureati, un altro pezzo di carta da appendere al muro.

In attesa del plotone di esecuzione.

Lascia un commento

Questo sito utilizza Akismet per ridurre lo spam. Scopri come vengono elaborati i dati derivati dai commenti.